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Contro il riarmo!

Testo del volantone che ho scritto per il Movimento per il socialismo

Dalla notte dei tempi

« Si vis pacem…

para bellum », « se vuoi la pace, prepara la guerra », dicevano gli antichi romani. E, difatti, la pace a Roma la salvaguardavano portando la guerra sempre più lontano, alle frontiere dell’impero. Tanta forza militare non li proteggé però dall’arrivo di Unni, Goti vari ed altri ; anzi, in pochi decenni l’impero si sgretolò letteralmente lasciando le popolazioni alla mercé dei vari eserciti.

Il motto di Cesare Augusto, e di chi gli successe nei secoli sino ad oggi, mai impedì le guerre. Allorché il mondo non é mai stato tanto preparato e armato quanto lo é oggi, dalla fine della seconda guerra mondiale non é passato un solo giorno senza che la guerra mietesse vite e seminasse drammi e miserie quà e là sul pianeta.

Dal 1945 poi, anche la portata delle guerre é cambiata : é a Hiroshima, il sei di agosto del 1945 che questa nuova era é stata inaugurata. Da allora, nove stati si sono dotati dell’arma atomica : dispongono in tutto di una potenza equivalente a 138’000 volte quella della bomba che distrusse la città giapponese… e terrorizzò il pianeta !

Antonio Guterres, segretario generale dell’ONU, non esita a dichiarare che « il genere umano non é che a un malinteso o ad’un errore di calcolo dall’apocalisse nucleare ».

Eppure, in Svizzera, in Europa e nel mondo, la corsa al riarmo é lanciata.

Gli accordi di disarmo atomico -SALT, START…- firmati nella seconda metà del secolo scorso sono diventati carta straccia, mentre la Svizzera rifiuta di associarsi al trattato dell’ONU -firmato da più di cento paesi- d’ interdizione delle armi nucleari.

È il rafforzamento degli effettivi degli eserciti che é messo all’ordine del giorno, con la reintroduzione del servizio militare obbligatorio, la riduzione dell’accesso al servizio civile e la proposta di estendere l’obbligo militare alle donne. Nel mondo e in Svizzera.

Le somme investite nella preparazione della guerra esplodono. L’Unione europea prevede 800 miliardi di euro fino al 2030 -cioé un po’ meno dei 916 miliardi di dollari spesi nel solo 2024 dagli USA per la « difesa »- mentre Trump le chiede di portare le sue spese militari a 5% del Prodotto interno lordo.

Meno ambiziosa, la Svizzera si é fissata un obiettivo all’1 % del PIL nel 2030 e al 2% nel 2035, un obiettivo che la maggioranza del Parlamento difende dalla fine del decennio scorso. Aspettando il 2030, sono 500 i milioni supplementari che le camere federali hanno offerto all’esercito per l’anno in corso prelevandoli … sulle spese sociali, quelle per l’asilo, l’aiuto allo sviluppo ed i trasporti pubblici.

Pericolosissima per l’avvenire del pianeta e di chi ci vive, illusoria difesa militare che distrae energie e risorse dalle vere sfide -sociali, economiche, ambientali, culturali, migratorie…- alle quali il nostro pianeta é confrontato, progetto di irrigimentazione delle società,

la corsa al riarmo va bloccata !


La manna e i rischi…

Lo sprint é lanciato, anche se, il traguardo, non si sa dove sia : per intanto, sono miliardi di euro -800 entro il 2030- che fanno da colpo di pedale. Poi si vedrà. Perché, il senso del riarmo dell’Europa é …il riarmo. E lo sprint sarà lunga durata.

Certo, bisognerà ridure le altre spese -per la scuola, la sanità pubblica, la protezione dell’ambiente…- e transigere sul quel rigore contablile sistematicamente invocato per limitare gli « sperperi » ; ma poco importa, perché l’Europa, « abbandonata da Trump », sarebbe in pericolo.

Sino ad ora, di cattivone minaccioso ce n’era uno solo, il nanerottolo autocrate del Cremlino.

Da quando ha attaccato l’Ucraina nel febbraio di tre anni fa, bastava citarne il nome per screditare qualsiasi divergenza sulla politica internazionale, per limitare i diritti politici -il ritiro, di fatto imposto, dell’iniziativa contro gli F35-, per rafforzare la disciplina negli eserciti, per mettere in riga la stampa.

Minaccioso, il bulletto lo era e lo é ; ma ha veramente i mezzi delle sue bravate ?
Nel ’22, si voleva pappare l’Ucraina in tre giorni : tre anni dopo ha preso meno di un quinto del territorio ma ha perso più di 900’000 uomini e praticamente tutti i blindati.

Secondo il redattore della Rivista militare svizzera, A. Vautravers[1], « l’esercito russo del 2022 non esiste più. Il suo materiale bellico é stato quasi interamente consumato. » E aggiunge « ci vorranno anni perché [la Russia]ricostituisca un potenziale militare come quello del 2022 », quello cioé che doveva farsi un boccone dell’Ucraina. D’altronde, dei 198 sistemi d’armi in sua dotazione, 116 sono del secolo scorso mentre uno data addirittura del … 1896 !

Ma questo poco importa a chi, come la tedesca Rheinmetall -100% del fatturato proviene dal commercio d’armi-, le francesi Airbus -secondo fabbricante d’armi europeo- e Thalés -metà del suo fatturato é dovuto al settore militare- ed altri vedono nel riarmo dell’UE l’occasione di profitti esponenziali.
Dieci anni fa l’UE non trovava 14 miliardi per salvare il sistema sanitario greco, oggi ne avrebbe sessanta volte di più per proteggersi da un esercito sgangherato…

Però anche in malo stato, la Russia potrebbe, di fronte allo sviluppo di sofisticati sistemi di armi in Europa, avere ricorso, come già lo fa in Ucraina con i missili a media portata, alla sua sola forma di superiorita militare, l’arma atomica. E allora saranno guai… !

Quanto all’altro cattivaccio, Trump, mica l’ha abbandonata l’Europa. Le ha solo detto : « mo’ paghi ! ». E lei paga ! Ma le truppe dall’Europa (100’000 uomini in arme che potrebbero ridursi del 20-30%) non le ha ritirate, così come non ha chiuso le 37 sue basi in Italia, Germania, Belgio, Olanda, Spagna e Turchia, ne’ le quasi 700 altre sparse in un’ottantina di paesi qua e là nel mondo.

Secondo la favoletta in voga, di fronte alle esigenze ricattatorie di Trump, l’Europa si dovrebbe armare fino ai denti per farsi rispettare. Da uno il cui preventivo militare nel 2024 era superiore alla somma di tutti quelli degli altri nove stati del Top10 dei più dispendiosi  ? Ma vuoi competere ?

Di fatto, il riarmo non é che manna offerta al complesso militare industriale a scapito del bene comune con in più il rischio, definitivo, che il motore s’imballi.

Ecco perché é più che ora di dire no !

Sprecati.
(ma non per tutti…)

Anche in Svizzera, il riarmo é all’ordine del giorno. Ma gli appetiti in materia militare e non datano dal 24 febbraio del 2022, giorno dell’agressione russa contro l’Ucraina. Quest’ultima li ha solo incentivati.

Simbolo di questo incremento delle spese é l’acquisto di nuovi caccia per l’aviazione militare.

La decisione é stata presa dal governo nel dicembre del 2019. Meno di un anno dopo, il 50,1% dei votanti confermava la decisione e, il 30 maggio del 2021, il Consiglio federale si pronuncia per l’acquisto di 36 aerei di tipo F35 di fabbricazione statunitense. Senza aspettare il febbraio del 2022 !

Quando, poi, Putin attacca l’Ucraina, il Dipartimento della difesa invita il GSsE a ritirare la sua iniziativa contro gli F35 ed il Consiglio federale accelera i tempi per firmare il contratto , prima che l’iniziativa centri l’obiettivo delle 100’000 firme.

Sempre simbolico della logica delle spese militari della Svizzera, il contrattro firmato nel settembre del 2022 prevede una spesa vicina ai 7 miliardi di franchi correlata da « montanti compensatori » dello stesso valore. Il che significa che, a titolo di compensazione dell’acquisto negli USA, questi ultimi si impegnano a trasferire a ditte svizzere parte dell’assemblaggio dei nuovi aerei e a comprare prodotti « swiss made ».

In altre parole, sono i miliardi sperperati per un illusoria difesa aerea, denari, pubblici, che finiscono in fin dei conti, nelle tasche, private, degli azionisti delle ditte esportatrici svizzere.

Questo vale per le altre spese militari. E poco importa che gli F35 possano essere bloccati al suolo a distanza o che i droni comprati in Israele non volino se non accompagnati : tanto quel che conta per le alte sfere non é mica é la difesa degli interessi della maggioranza della popolazione !

Lingotti con le ali.

Veri e propri lingotti alati -170 milioni di franchi al pezzo- gli F35 sono solo l’ultimo episodio della saga degli aerei da combattimento in Svizzera.

Dopo aver accarezzato il sogno atomico all’inizio degli anni sessanta ed aver voluto un mezzo, secondo il Consiglio federale, « capace di trasportare una bomba atomica al di sopra di Mosca », é nell’acquisto ed il mantenimento di una flotta sofisticata che la Svizzera si ingaggia da decenni.

E se nei primi anni sessanta l’esplosione del conto dei Mirages costò … il posto al consigliere federale Chaudet, l’appetito di mezzi aerei sofisticati non si é mai calmato.

Ad ogni acquisto, l’assurdità salta agli occhi : perché mai dotarsi di un caccia che l’esuiguità dello spazio aereo nazionale impedisce di sviluppare tutta la sua potenza ? Di un aereo, F35 o Rafale che sia, che sconfinerebbe dopo pochi minuti di volo ?

All’assurdo si aggiunge, nel caso dell’ F35, che il controllo resterebbe riservato al fabbricante, e non solo in termini di produzione di pezzi di ricambio e di una tecnologia che resta in mani americane.

Il deputato francese Christophe Gomart, ex-direttore dei servizi speciali dell’aeronautica militare del suo paese, pretende infatti che il fabbricante disporrebbe, grazie ad un software sul quale é solo ad avere il controllo, della capacità di bloccare al suolo i velivoli, poco importa lo Stato che ne é proprietario.

E non parliamo poi della dipendenza dai sistemi satellitari di comunicazione dei quali é proprietario quasi nella misura del 80% il nazi-miliardario Elon Musk…

« La Svizzera é un esercito. »

È quanto scriveva nella primavera del 1989 il Consiglio federale in risposta all’iniziativa popolare « per una Svizzera senza esercito », approvata poi in votazione da un terzo dei votanti.

Nata da una guerra civile, fortunatamente incruenta, vinta dai cantoni protestanti ed industrializzati nel 1847 -la guerra detta del Sonderbund–  la Svizzera ha sistematicamente iscritto il fatto militare nella sua identità.

La sfilata in armi durante le feste patriottiche fu una costante della seconda metà del 19esimo secolo. Si trattava, per il liberalismo trionfante, di ricordare la propria forza ai suoi nemici. Che erano i conservatori cattolici da un lato, il nascente movimento operaio dall’altro.

Ed é così che, se a Bellinzona gli insorti radicali armati ammazzano l’11 settembre del 1890 il Consigliere di Stato conservatore Luigi Rossi, già nel 1865, l’esercito spara contro gli operai del Gottardo in sciopero uccidendone cinque.

La storia si ripeterà all’inizio del 1900 con la repressione degli scioperi generali in città della Svizzera romanda, con l’occupazione militare di Zurigo durante lo sciopero generale del 1918. Durante quelle giornate, l’esercito intervenne per far applicare la precettazione dei ferrovieri -con la pistola di un ufficiale puntata sulla tempia dei macchinisti per far partire i treni.

E la stessa dinamica condusse, il 9 novembre del 1932 a Ginevra, al più grave fatto di sangue della storia dell’esercito svizzero : il massacro di tredici manifestanti antifascisti !

Seppur meno cruento, il ricorso all’esercito per mantenere l’ordine si é ripetuto nel 1968 con l’occupazione militare del Giura, allora sotto tutela bernese, durante quasi dieci mesi.
Addirittura, ancora all’inizio degli anni 1980 si paventò l’impiego dell’esercito contro gli oppositori al cantiere nucleare di Goesgen, in Argovia.

Parallelamente, il fatto che, per ragioni tutt’altro che militari, la Svizzera non fu direttamente toccata dalle due guerre mondiali, contribuì a creare un mito, quello del Sonderfall Schweiz.
Quante furono, da allora, le generazioni allattate al racconto di una sacra ed armata unione nazionale che avrebe permesso al paese di sfuggire ai drammi che conoscevano il continente ed il resto del mondo ?

Fu proprio allora, nella seconda metà degli anni trenta del secolo scorso che, per un verso, il Partito Socialista ed il Partito comunista accettarono il principio della difesa nazionale. E, dall’altro, sempre per le stesse ragioni, il movimento sindacale rinunciò alle sue armi, quella dello sciopero in primis, firmando dal 1936 in poi la cosiddetta pace del lavoro.

Da allora, l’esercito assunse al ruolo di scuola della nazione : il cittadino diventava così cittadino-soldato. E, il « Ridotto nazionale » -cioé le Alpi come quadro della narrativa-, l’ubbidienza, la disciplina ed valori virili -solo gli uomini erano soggetti all’obbligo militare- diventarono così gli elementi costitutivi dell’identità, e la Svizzera un esercito.

Andato, sembrava definitivamente, in crisi alla fine del 1989 con l’approvazione da parte di più di un milione di votanti dell’idea di rinunciare all’esistenza di forze armate, quel concetto di una « Svizzera-esercito » torna oggi a galla.

Da più parti, dall’UDC al PLR passando dalle alte sfere dell’esercito, la pressione é forte non solo per aumentare le spese militari, ma anche per ridurre l’accesso al servizio civile -risultato del voto di 35 anni fa- ed imporre alle donne, giornate di servizio nazionale.

Con, come prospettiva, oltre a quella, eventuale, di essere tutte e tutti mandati un giorno a fungere da carne da cannone, quella di essere irrigimentati, messi in riga, in uniforme, a passo cadenzato…

Per trasformare un numero sempre più grande di giovani, uomini e donne, in soldatini di piombo ?
Però, questa non é fatalità !


[1] Le Matin dimanche, 9 marzo 2025

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