Intervista a Francesca Albanese: “A Gaza è un genocidio e ne ho le prove, l’Italia è complice”
La relatrice speciale delle Nazioni Unite
La volontà di cancellare il popolo palestinese è da tempo chiara, due milioni di persone sono state gettate in strada. Vergognoso parlare di antisemitismo di fronte a tante atrocità. L’Europa resta zitta perché è coinvolta, e lo è anche il nostro Paese”
Interviste – di Umberto De Giovannangeli
LUnità, 23 Aprile 2025 alle 12:01

Passione, competenza, determinazione. E il coraggio di non celare la realtà anche quando questa realtà è indigesta per il più forte. Documentare l’inferno di Gaza e l’apartheid istituzionalizzato in Cisgiordania. La parola a Francesca Albanese, Relatrice speciale delle Nazioni Unite sui territori palestinesi occupati. L’Unità l’ha intervistata in esclusiva.
Un “campo di sterminio”. Una “realtà post-apocalittica”. Un “inferno in terra”. “A Gaza situazione ignobile”, l’ultimo grido di dolore di papa Francesco. Si sprecano le definizioni per dire cosa sia diventata Gaza. La sua, dottoressa Albanese?
Le parole si sprecano e al tempo stesso non bastano, sembrano non servire. Gaza un campo di sterminio? Sì, certo. Come altro chiamare un posto assolutamente chiuso, sigillato, in cui non entra più nessun mezzo di sostentamento, in cui è stato distrutto tutto, in cui vengono bombardati i campi dei rifugiati e vengono bruciate vive le persone, adulti e bambini. I pazienti che arrivano spappolati negli ospedali sono prevalentemente bambini. Gaza una realtà post-apocalittica? Certo, come definire altrimenti un posto che è stato completamente raso al suolo: ci vivevano due milioni di persone. Adesso le case di quei due milioni di persone sono quasi tutte ridotte in macerie se non delle strutture svuotate di vita, bombardate, distrutte. È pochissimo quello che non è stato attaccato. Un inferno in terra? Certo che sì. Israele ha scritto una delle pagine più devastanti della storia moderna. Sono cambiate le regole della guerra. È ufficialmente iniziata l’era del mondo senza civili. Lo si è visto a Gaza e anche in Libano. Non è intervenuto nessuno. Da giurista non posso che utilizzare categorie giuridiche: è un genocidio. Genocidio è la distruzione di un gruppo in quanto tale. Per capire il genocidio bisogna semplicemente guardare al crimine, al crimine di distruzione che avvenga attraverso atti di uccisione, per condizioni di vita distruttive, inflizione di sofferenze fisiche e mentali, oppure prevenzione delle nascite. Questi sono già gli atti di genocidio commessi a Gaza, identificati da me come da altri: la Commissione d’inchiesta su Israele e Palestina delle Nazioni Unite, Amnesty International e altri. Questi crimini, quando sono diretti contro un gruppo in quanto tale, al fine di distruggerlo, ed è chiaro che si sta distruggendo il popolo palestinese, questo è un genocidio.
LEGGI ANCHE
- Gaza campo di sterminio: Israele uccide altri 15 bambini, 600 in un mese
- “Il silenzio del governo su Gaza macchia l’onore dell’Italia”, l’accusa di Provenzano
- “Il governo riconosca lo stato di Palestina”, la sinistra trova l’unità su Gaza
Le testimonianze che filtrano ogni giorno dalla Striscia di Gaza sono agghiaccianti. Eppure, il mondo continua a guardare in una inerzia complice. Se un giorno vi sarà una “Norimberga” per Gaza, in molti saranno chiamati sul banco degli imputati e tante altre e altri a testimoniare. Per l’importante ruolo che lei svolge, sarebbe tra i testimoni.
Io penso che non viviamo più in un mondo paragonabile a quello che si è risvegliato col finire della Seconda guerra mondiale. Oggi i presupposti per avere dei processi come quello di Norimberga non ci sono. C’è la Corte penale internazionale che dovrebbe svolgere proprio questa funzione. E si vede cosa sta succedendo alla Cpi. Viene esautorata, per interessi e doppi standard, dagli stessi Stati che l’hanno voluta. Io penso che la Giustizia debba davvero rompere gli argini. La Giustizia fatta di tutte le persone che ci credono, che vogliono un mondo equo, un mondo giusto e che devono impegnarsi per realizzarlo. Non basta lamentarsi. C’è poi un ruolo particolare che devono giocare i giuristi, i costituzionalisti, gli avvocati. Quello che io immagino debba succedere, per cui vale la pena impegnarsi, è una giustizia che parta dalle corti nazionali. Questo è un punto cruciale…
In che senso, dottoressa Albanese?
Nel senso che non debbano essere solo la Corte penale internazionale, che si occupa degli individui, o la Corte di giustizia internazionale, che riguarda gli Stati, ad accertare le responsabilità inerenti a crimini di guerra, contro l’umanità o ad atti genocidari. Questo compito dovrebbe essere assolto anche da tribunali nazionali, non solo per ciò che concerne gli israeliani coinvolti ma anche persone con la doppia nazionalità. Quanti soldati, anche con nazionalità italiana, hanno commesso crimini a Gaza, quanti coloni ci sono, in particolare in Cisgiordania, che commettono crimini contro i palestinesi. I nostri stessi governanti, che hanno autorizzato il trasferimento di armi. C’è un’azienda, la Leonardo, che ha fornito armi a Israele. Su questo ci sono inchieste. Io stessa sto conducendo un’inchiesta a riguardo e comunicherò ai responsabili della Leonardo quello che ho riscontrato finora. Ci sono molte cose, dati, che sono già di dominio pubblico. Questo immagino, spero che sarà la Giustizia. Quale ruolo potrò avere in essa, non saprei dire. Io immagino una società diversa in cui non ci sia bisogno di una sola persona. Continuerò a fare quello che sarò chiamata a fare, per il momento quello che mi chiede il Consiglio delle Nazioni Unite per i diritti umani. E quello che mi viene chiesto, nonostante le pressioni subite, è di denunciare, documentandolo, quello che accade in Palestina. Comunque sia, continuerò ad essere testimone dello scempio che ho visto e della caduta totale di tutto quello a cui avevo creduto. Perché avevo creduto veramente in un ordine multilaterale volto a preservare pace e sicurezza. So bene che è un sistema non ha beneficiato tutti nello stesso modo. La maggioranza globale, questo è il modo in cui io chiamo il Sud globale, ne ha beneficiato molto meno della minoranza globale, noi in Occidente. Ma questo tradimento, questo colpo al cuore inferto dai Paesi occidentali non me lo sarei mai aspettato. A Gaza è morta la moralità dell’Occidente. Dobbiamo farla rinascere, stavolta però deve rinascere in forme e sedi migliori.
Dottoressa Albanese, perché se si parla di Gaza come un “campo di sterminio”, come ha fatto il Segretario generale delle Nazioni Unite Antonio Guterres, si viene subito bollati di antisemitismo?
È ormai risaputo che il termine antisemitismo, un tempo volto a indicare quelle pratiche odiose di pregiudizio, violenza, odio nei confronti degli ebrei in quanto tali, perché questo è l’antisemitismo, oggi è un termine utilizzato per corrompere e combattere la verità dei fatti e prevenire l’applicazione del Diritto. Israele e i suoi alleati, tra cui tantissimi in Italia, utilizzano la parola antisemitismo come uno scudo a difesa di Israele. Non si può criticare lo Stato d’Israele senza finire vittima di accuse di antisemitismo. Questo argomento non solo è vergognoso in questo momento in cui Israele ha ucciso oltre 50mila persone, almeno 15mila bambini e ancora non si sa quante altre morti siano state causate dall’assenza di ospedali, dalla mancanza di cibo e di case. La gente ha passato a Gaza due inverni senza un tetto sopra la testa, e spesso bruciati vivi nelle tende colpite dai missili israeliani. E in Cisgiordania, come ha fatto Israele in pochi giorni a buttare giù le case di 40mila persone? Ho visto con i miei occhi 24 palazzi fatti esplodere uno dopo l’altro. Questo avviene in Cisgiordania dove c’è il Diritto internazionale, affermato dalla Corte di giustizia internazionale, che dice che Israele non ci dovrebbe nemmeno essere, che Israele dovrebbe ritirare le proprie truppe, smantellare le colonie, il controllo delle risorse naturali, la terra, l’acqua. Israele dovrebbe fare una sola cosa per proteggere se stesso, la sua sicurezza, quella dei suoi cittadini e smetterla di essere una minaccia per il Medio Oriente e aldilà del Medio Oriente: ritirarsi dal territorio palestinese occupato. Oggi l’accusa di antisemitismo viene utilizzata per punire, per silenziare, chiunque si erga a critico di Israele. È una operazione di una violenza e di una ipocrisia senza precedenti. Fortunatamente ci sono tantissimi ebrei che si stanno rivoltando contro i crimini commessi da Israele. In Italia agiscono tanti gruppi, come il Laboratorio ebraico antirazzista (LEA) e altri ancora, che si battono contro quello che Israele sta facendo a Gaza, che non hanno paura a definirlo un genocidio. Questa è la postura più nobile che si possa prendere in questo contesto. Guardo sbigottita alle comunità ebraiche che in questo momento si stringono attorno a Israele per difenderlo. Ma davvero pensate di avere il copyright della sofferenza? Ma non vedete la strage che si sta perpetrando a Gaza? Ma non la sentite la voce disperata dei bambini? Io sono ancora in contatto con i bambini, una sessantina, di cui ho raccolto le storie, prima del 7 ottobre, riportate nel Rapporto sull’infanzia, Unchilding noto in Italia come “Infanzia spezzata”, presentato all’Assemblea generale delle Nazioni Unite il 25 ottobre 2023. A Gaza sono ancora vivi tre dei bambini che avevo intervistato. Ho parlato con loro recentemente, siamo in contatto attraverso organizzazioni per i diritti umani. Uno di loro si chiama Lama. È una bambina fantastica che parlava con grande sicurezza, con grande fierezza di sé, della propria vita, delle proprie ambizioni. Adesso vive in un campo per rifugiati circondato da macerie. Aveva una bellissima casa, ora non ha più niente. Piangeva l’altro giorno al telefono, mi ripeteva singhiozzando, “mi scusi Mrs Francesca se le parlo in questo modo, però magari domani non ci sarò più. Si ricorda tutte le cose che le avevo detto che mi sarebbe piaciuto fare, i libri che mi sarebbe piaciuto leggere, gli studi, il lavoro che sognavo, i viaggi che avrei voluto fare… Adesso desidero soltanto restare viva e non vedere più gente della mia famiglia e i miei amichetti che vengono ridotti a brandelli”. Questa è l’infanzia a Gaza, oggi. Di fronte a questo scempio come si fa a stare zitti, a non indignarsi? Quanto a impunità dell’occupante la situazione in Cisgiordania non è meno grave di quella di Gaza. Questo è un punto fondamentale. Non si deve guardare a quel che avviene in Cisgiordania come qualcosa di separato rispetto a ciò che avviene a Gaza. Prima del 7 ottobre 2023, la situazione in Cisgiordania era gravissima. Nei sedici mesi in cui sono stata Relatrice dell’Onu, ho documentato la morte di 426 palestinesi, circa 400 dei quali sono morti in Cisgiordania. Quattrocento! Perché la situazione era violentissima. L’esercito e i coloni sono da anni impegnati da anni in una operazione di lenta ma inesorabile pulizia etnica. Israele persegue l’annessione di quel poco di territorio palestinese che è rimasto, cercando di sfollare quanto più possibile la popolazione palestinese. Il 7 ottobre ci è scoppiato in faccia con una violenza senza precedenti. Nessuno si aspettava che la violenza potesse arrivare da Gaza, ma nessuno, me compresa, si sarebbe sorpreso se invece che da Gaza la violenza fosse esplosa in Cisgiordania. Perché la repressione era violentissima. Purtroppo, in Italia ci sono tanti incompetenti, gente che parla di Palestina e di Israele senza conoscerne la storia, senza conoscerne le dinamiche. Basterebbe fermarsi ad ascoltare quanto dicono oggi tanti israeliani. Sta emergendo un movimento contro la guerra, contro il genocidio, contro l’occupazione, contro l’apartheid, che denuncia quello che sta succedendo in Cisgiordania e a Gaza come un tutt’uno. Il genocidio va visto dalla prospettiva delle vittime. C’è un assalto violento contro i palestinesi in quanto tali. I mezzi sono gli stessi, varia l’intensità, ma anche Jenin, Tulkarem, Nablus sono state colpite furiosamente negli ultimi mesi. Nel sud la violenza dei coloni armati non ha fine ed è i soldati li accompagnano, li proteggono. Israele vuole la terra di Palestina senza i palestinesi. Questo è ciò che l’Italia, assieme ad altri Paesi occidentali, sta aiutando Israele a fare. È una vergogna assoluta oltre a costituire fattispecie perseguibili penalmente. Io sarò sempre al fianco di quelli che lavorano per la giustizia, perché quelli che hanno partecipato e sono corresponsabili di questa situazione vengano assicurati alla giustizia.
Il presidente francese Emmanuel Macron ha manifestato l’intenzione di riconoscere, a giugno, nell’ambito di una Conferenza franco-saudita, lo Stato di Palestina. E l’Italia?
Penso che Macron abbia capito, più velocemente di altri, che il vento è cambiato e che di Trump e degli Stati Uniti in genere, non ci si può fidare tanto. Ha capito che bisogna guardare alla sponda Sud del Mediterraneo. Ma non credo che ci sia un sincero interesse per la vita dei palestinesi., così come degli israeliani. Se fosse stato veramente a cuore della leadership europea la vera sicurezza delle israeliane e degli israeliani, come delle palestinesi e dei palestinesi, si sarebbe intervenuti per fermare la violenza genocidaria che si è abbattuta su Gaza e che adesso si sta estendendo ad altre parti del territorio palestinese occupato. Macron parla di un possibile riconoscimento di uno Stato palestinese. Avrebbero dovuto farlo trent’anni fa. Meglio tardi che mai, si potrebbe dire, se non fosse che oggi c’è una terrificante emergenza in corso che richiede l’adozione di misure straordinarie per affrontarla e porne fine. Bisogna fermare il genocidio. Dare corso a quanto affermato dalla Corte di giustizia internazionale, che dice che l’occupazione è illegale e quindi deve cessare. Israele deve smantellare gli insediamenti, ritirare l’esercito, cessare di controllare le risorse naturali nei territori palestinesi occupati. Quest’ultima cosa chiama in causa direttamente l’Italia.
A cosa si riferisce, dottoressa Albanese?
All’Eni che entra in partenariato con lo Stato di Israele per l’esplorazione e il possibile sfruttamento delle riserve petrolifere o di gas naturale off shore di Gaza.
Queste sono attività illecite che devono essere giudicate dagli organi competenti. Va bene il riconoscimento dello Stato di Palestina, se esso si accompagna agli obblighi che la Francia come l’Italia e altri hanno, di non riconoscere le conseguenze di atti illegali come legali e non avere partenariati o assecondare in alcun modo l’illegalità dell’occupazione. Israele è l’occupazione. Israele è uno Stato che commette crimini di guerra e contro l’umanità per i quali sono sotto mandati di arresto internazionale emessi dalla Corte penale internazionale, l’attuale Primo ministro e l’ex ministro della Difesa. Di fronte a questo scempio di legalità, occorrerebbe quantomeno smettere di fare affari con Israele, quello che i Paesi europei, inclusa l’Italia, continuano a fare. Il mio prossimo Rapporto parlerà proprio di questo. Non avevo idea di quanto profonda fosse la nostra corresponsabilità. Non mi riferisco solo agli interessi economici, finanziari, all’industria militare, a quella tecnologica, alle banche, ai fondi pensione, a volte anche alle Ong e alle Università. Se la Palestina fosse una scena del crimine, avrebbe le impronte digitali di tutti noi.